Mattia Feltri su La Stampa: “Se la solidarietà si quantifica coi quattrini da mettere a bilancio, ce n’è, e parecchia. Io non li so più nemmeno contare i miliardi impegnati a tenere insieme le economie europee e piuttosto toccherà mobilitarli alla svelta e spenderli come si deve. Quello che mancava è qualcosa di ancora più solido, cioè un’intelligenza, uno spirito, un soffio vitale e rifondativo, qualcosa che contenesse il senso del tragico e il senso del grandioso, qualcuno capace di dare a sé la dimensione del leader che guarda in faccia il presente e il futuro della moltitudine. Ci mancava qualcuno che andasse oltre la schermaglia della trattativa, i famosi compromessi al ribasso, in attesa che siano inventati i compromessi al rialzo, i] puro rendimento e lo zero virgola, cioè qualcuno che restituisse il senso di tutto quello che sta succedendo, che siamo, che vorremmo essere, e dunque dicesse che le cose qui vanno bene se vanno bene in tutta Europa, che dicesse dobbiamo farcene carico anche noi, e l’Europa non è Europa se non ci si difende a vicenda nei periodi di indebitamento, di crisi, di disgrazia, che dicesse che questo non è un discorso della domenica ma è molto di più: noi siamo una comunità di destino. In definitiva, qualcuno che si incaricasse di salire al punto più alto della questione per individuare nel virus il pericolo mortale della democrazia europea e occidentale. Quel qualcuno è stata Angela Merkel, ieri mattina al Bundestag, davanti ai rappresentanti di quel popolo che noi chiamiamo del Nord, e dal quale pretendiamo i denari con le vene gonfie al collo. Noi, gli altruisti”.
Sul Corriere della Serra, Federico Fubini: “Non a caso nella Grande recessione Merkel impiegò quattro anni per capire che serviva una risposta comune. Nella grande pandemia le sono bastate quattro settimane: il 9 marzo Maurizio Massari, l’ambasciatore italiano presso la Ue, firmava un articolo per mostrare che l’Italia era stata lasciata sola di fronte a Covid-19; il 26 marzo Conte accusava Merkel di essere rimasta «al mondo di dieci anni fa». Ora l’Europa c’è, forzata dalla catastrofe che si dispiega sotto gli occhi dei leader. Ieri al vertice Christine Lagarde ne ha dato la misura. Ha detto che nel 2009 il prodotto della Ue è caduto del 4,5%, «ma nel 2020 può cadere fra il 4,5% e il 15%». Ha aggiunto, la presidente della Banca centrale europea, che i diversi Paesi hanno risposto con mezzi diversissimi: alcuni spendendo appena l’1% del loro reddito, altri il 14%. Mancava una risposta comune, a questo punto inizia a esserci. La Bce ha le spalle più coperte per allargare ancora il portafoglio degli acquisti di titoli pubblici nell’area euro. Magari entro pochi mesi, o poche settimane”.
Massimo Franco sul Corriere della Sera: “È un altro passo avanti dell’Europa verso Paesi indebitati come l’Italia: si prepara un Fondo per la ripresa di oltre 1.000 miliardi. Ma l’incognita riguarda i tempi con i quali la decisione presa ieri dal Consiglio europeo si tradurrà in gesti concreti. La domanda è quando imprese messe in ginocchio dal coronavirus, riceveranno le risorse. E richiede una risposta rapida…Se si pensa alla situazione di un mese fa, tuttavia, sono stati fatti molti progressi. Allora, l’Italia appariva isolata…Ma il governo di Giuseppe Conte è arrivato al Consiglio europeo di ieri indebolito dai contrasti tra fautori e oppositori del Mes, il cosiddetto Fondo salva-Stati…Sembrano non avere capito che è cominciata una fase nuova. Per paradosso, ha mostrato di comprenderlo più rapidamente Silvio Berlusconi, che con una sola mossa ha spiazzato Matteo Salvini e Giorgia Meloni e agganciato Forza Italia al treno europeista. Anche perché l’opposizione non è divisa solo sul piano interno. Le forze estreme del sovranismo non hanno una linea unica, in Europa: si mostrano compatte solo quando attaccano Bruxelles…È difficile, su questo sfondo, intravedere un’unità nazionale. Occorrerà una virata in politica estera che alcune forze appaiono incapaci di compiere, almeno per ora. Ma si riduce il potere negoziale dell’Italia, e cresce l’urgenza di ricevere gli aiuti, chiedendo anche prestiti a fondo perduto che i Paesi nordeuropei non vogliono concedere. Oltre alla crisi economica, aggravata da un debito destinato a lievitare fino al 155 per cento del Pil, preoccupa l’emergenza sociale. E se le risposte annunciate, a Roma e a Bruxelles, tarderanno ad arrivare, promettono di mettere in forse la tenuta del sistema”.
Alessandro Sallusti su Il Giornale: “Forse non è ancora chiaro. Il 4 maggio probabile giorno del fine quarantena generate – non sarà una festa – Chi pensa che potremo uscire li casa quando vogliamo o fare una corsetta ai parco si sbaglia di grosso. Meglio che niente, ma la “normalità” sarà per pochi, comunque per un minierò insufficiente a festeggiare. Molte persone, purtroppo, scopriranno di avere perso il posto di lavoro, altri finiranno direttamente in cassa integrazione , commerciami e imprenditori nei servizi (parrucchieri, estetisti, albergatori, baristi e ristoratori) prenderanno atto che con le nuove regole e i ¡oro cavilli burocratici il fatturato crollerà sotto ¡a soglia minima per stare in piedi…Il governo si prepari: dal 4 maggio per milioni di italiani ii nemico non sarà più il virus ma lui, cioè lo Stato…La rivolta di ieri dei sindaci delle principali città italiane contro il governo è un segnale chiaro di totale sfiducia nell’esecutivo: non c’è guida, cosi non se ne esce. E speriamo solo che la rivolta dei sindaci non sia l’antipasto di quella dei cittadini, abbandonati al loro destino”.
Massimo Gramellini sul Corriere della Sera: “La voce secondo cui il governo potrebbe prolungare la clausura di tutti coloro che hanno compiuto sessant’anni sta gettando molti miei conoscenti in uno stato di prostrazione. Poiché ho solo 59 anni, 6 mesi e 22 giorni, non posso neanche lontanamente immaginare come si sentano. Ma comprendo il loro avvilimento…Ricordo il sessantesimo compleanno di mio nonno, un secolo fa. Con il bastone, il baschetto sulle ventitré e la coperta di lana appoggiatagli amorevolmente dalla nonna sopra le spalle curve, mi apparve vecchissimo. Oggi mi guardo allo specchio — pardon, guardo i miei amici — e vedo volti vivaci, voglie inesauste e rughe sapientemente occultate. Per dire, Fiorello a maggio avrà sessant’anni, ma sembra molto più giovane di Di Maio. Mi appello al commissario Colao: liberi Fiorello e tenga dentro Di Maio”.
Repubblica non è in edicola venerdì a seguito dello sciopero deciso a larghissima maggioranza dai suoi giornalisti dopo la decisione del Cda del Gruppo Gedi di sostituire il direttore Carlo Verdelli come primo atto della nuova compagine proprietaria nel giorno del suo insediamento…la Redazione non può non rilevare come la scelta dell’editore cada in un momento mai visto prima per il Paese e per tutto il pianeta, aggrediti da una pandemia che sta seminando dolore e morte e sta chiamando tutti noi a uno sforzo straordinario. E proprio nel giorno indicato come data della morte del direttore Verdelli dagli anonimi che ormai da mesi lo minacciano, tanto da spingere il Viminale ad assegnargli una scorta. Una tempistica quanto meno imbarazzante.
Norma Rangeri su Il Manifesto: “Si cambiano i direttori come si cambiano le mascherine. Con l’arrivo di Molinari, Repubblica (insieme ai suoi lettori) chiude con la propria storia pluridecennale. E ne inizia un’altra dove all’antico blasone della casata fondatrice si sostituisce il più prosaico gagliardetto della Juventus, che non ammette teste calde o grandi libertà politiche, un ambiente che Verdelli ebbe modo di conoscere da vicino quando dirigeva la Gazzetta dello Sport…Naturalmente cambiare cavallo è un diritto dell’editore, ma dimette- re Verdelli proprio nel momento in cui è sotto scorta per oscure e macabre minacce di morte, è un brutto, triste spettacolo, perché rivela una totale mancanza di sensibilità, oltre che una volgare caduta di stile”.
Francesco Verderami sul Corriere della Sera: “Sembrava irrimediabilmente condannato alla panchina, invece l’emergenza da Covid 19 ha restituito a Berlusconi la centralità perduta. Prima della pandemia il Cavaliere si era di fatto ritirato, e viveva la sua quarantena politica osservando con distacco il duello tra Salvini e Meloni, impegnati a contendersi il primato della coalizione di cui era stato il fondatore. Ora che il dramma del Coronavirus ha indebolito il governo mettendone a repentaglio la sopravvivenza, il capo di Forza Italia è stato lesto a tornare in campo, spiazzando gli alleati sovranisti e ritagliandosi un ruolo che lo aggrada: «Sono un europeista e un patriota». Così, dichiarandosi favorevole al Mes «perché l’Italia non può farne a meno», si è trovato al fianco del suo storico avversario Prodi e al centro di un’operazione che mira a «salvare il Paese non la poltrona a Conte»…Raccontano che accarezzi persino il sogno del Quirinale, ma per quanto abbia finto di mostrare interesse a chi gliene ha parlato, persegue pragmaticamente un altro risultato: diventare in questa legislatura il king-maker di un nuovo governo, per prendersi la rivincita rispetto alla parte che gli toccò due anni fa. E lo conforta la lettura di un sondaggio, pubblicato da Demos Marketing International, secondo il quale il 78% degli italiani vorrebbe un governo di unità nazionale appena terminata l’emergenza sanitaria. Con Draghi come premier, gradito dal 53% degli intervistati…Per spingere Berlusconi a uscire dall’isolamento, c’è voluta la costanza di Tajani e l’abilità di Gianni Letta, che tiene un piede nel campo di Agramante, cioè nel campo del Pd. Sul suo block notes il leader forzista ha disegnato uno scenario, annotando nomi sottolineati in base alla loro importanza. «Gianni vede Zingaretti». «Franceschini». C’è pure scritto «Di Maio». Sebbene il Cavaliere tenga da qualche tempo contatti riservati con una parte importante del mondo a cinque stelle, è impensabile che abbia parlato con il ministro degli Esteri, mentre è certo che Conte osservi con sospetto le mosse di Di Maio e tema possa entrare nell’ipotetica partita del governo istituzionale.A guardare i fogli scarabocchiati di Berlusconi, così pieni di frecce, si intuisce quanto sia intricato il gioco. E in quel gioco c’è anche la Lega. È vero, ieri Salvini si è detto «dispiaciuto» per le parole dell’alleato sul Mes, pronunciate peraltro in un momento per lui politicamente difficile. Ma Salvini si è già espresso su Draghi e nel partito è iniziata una riflessione sulla «necessità di riposizionarci, perché — spiega un esponente del Carroccio — siamo solo all’inizio di una stagione drammatica». Come al solito è toccato a Giorgetti dare un indirizzo, avvisando che «davanti alla crisi economica del Paese, la tesi del “facciamo da soli” è un espediente da illusionisti: l’Italia non può pensare di uscirne senza un sistema di alleanze internazionali ed europee». È una sentenza senza appello contro le velleità sovraniste, un richiamo alla realtà delle cose. E mentre attende che il processo maturi, prosegue nei contatti con i maggiorenti del Pd e dei grillini. Berlusconi deve sapere come procede il suo lavoro, perché c’è anche il nome di Giorgetti sul suo block notes. Manca quello della Meloni, ma è convinto che lo scriverà”.
Su La Stampa, rubrica La Jena: “Domani, 25 aprile, non riusciremo a liberarci dal virus. Speriamo almeno in un armistizio l’otto settembre”.