L’analisi storica sull’incidenza delle grandi epidemie mondiali mostra come la loro comparsa sia più frequente di quanto ci si possa aspettare. Lo studio Intensity and frequency of extreme novel epidemics, pubblicato su «PNAS» evidenzia proprio come le epidemie di intensità estrema siano sempre più frequenti. In particolare, la probabilità che una persona si trovi a fronteggiare, nel corso della propria vita, una pandemia simile al COVID-19 è attualmente di circa il 38% (con un possibile aumento fino all’80% nei prossimi decenni).


A fare un’analisi statistica completa in base al succedersi delle epidemie del passato è stato il prof. Marco Marani del Dipartimento Ingegneria, civile, edile e ambientale dell’Università di Padova, in collaborazione con Anthony Parolari (Marquette University, USA), Gaby Katul e William Pan (Duke University, USA).
Le analisi si sono focalizzate sul periodo 1600-1945, per indagare la dinamica delle epidemie in assenza di interventi medici significativi. Il documento contiene quasi 500 epidemie storiche causate da diverse malattie epidemiche: Vaiolo, Peste, Colera, Tifo e virus influenzali che sono tra i principali responsabili delle grandi epidemie.
L’epidemia di maggiori dimensioni, e che ha causato il maggior numero di morti/anno, è senza dubbio l’Influenza “Spagnola”, che ha ucciso più di 30 milioni di persone (alcuni sostengono fino a 100 milioni) tra il 1918 e il 1920. In un periodo in cui la popolazione mondiale era circa 1.8 miliardi di persone, le vittime costituiscono circa il 1.7% della popolazione totale e l’intensità (definita come il numero di vittime diviso per la durata dell’epidemia e normalizzata rispetto alla popolazione mondiale del tempo) dell’epidemia è stata di circa il 5.7 per mille/anno.
“In confronto alle precedenti epidemie, l’epidemia di COVID-19 conta al momento circa 3.5 milioni di vittime (dati ECDC di luglio 2021) – spiega il prof Marani -, con una intensità di circa lo 0.3 per mille/anno. Date queste proporzioni c’è da stupirsi che si sia persa così rapidamente memoria di un evento epocale come quello dell’Influenza Spagnola, circa 20 volte più intenso dell’epidemia che stiamo vivendo. Se la memoria collettiva fosse stata più presente forse non saremmo forse stati così impreparati alla gestione di questo evento”.
Il prof Marani, analizzando questo nuovo set di dati, e utilizzando alcuni strumenti statistici recentemente sviluppati dal suo gruppo di ricerca, ha scoperto che le epidemie estreme, quelle di cui la memoria personale diretta tende a perdersi (per esempio sono ormai pochi i testimoni diretti dell’epidemia di Spagnola ancora viventi) sono più frequenti di quanto si può intuitivamente pensare. Infatti la probabilità di vivere un’epidemia come quella del COVID-19 era, per la popolazione nata attorno all’anno 2000 di circa il 38%: una probabilità che avrebbe dovuto indurre una maggior preparazione a livello medico e sociale.
“Recenti risultati sperimentali mostrano come la frequenza con la quale nuove malattie epidemiche emergono dalle riserve in animali selvatici sia aumentata negli ultimi decenni a causa dei cambiamenti ambientali antropogenici – conclude Marani -. Questo aumento implica che la probabilità di osservare epidemie estreme potrebbe raddoppiare nel corso dei prossimi decenni. Lo studio di questo insieme di dati multicentenari mostra dunque come siamo inadeguatamente preparati a epidemie di intensità che si sono rivelate catastrofiche, ma che sono tutt’altro che improbabili“.